Condivisione sociale delle emozioni

Emozioni e condivisione sociale: sostegno o pettegolezzo?

Quando ci accade qualcosa di negativo, che minaccia il nostro benessere o ostacola il raggiungimento dei nostri obiettivi, l’impatto emotivo diventa spesso difficile da padroneggiare e innesca una serie di emozioni negative e pensieri disfunzionali su noi stessi e il mondo che ci circonda.

Come reagiamo in questi casi? Come facciamo a non sentirci sopraffatti dalle emozioni negative che stiamo vivendo?

Tentiamo di gestire le emozioni cercando di regolarle. Imparare a regolare le emozioni permette all’individuo di adattarsi alla società e alle sue norme. Tutte le emozioni, infatti, sono regolate in una certa misura e nessuna risposta emozionale è altrettanto forte rispetto a quella che potrebbe essere la risposta che l’organismo sarebbe capace di produrre in assenza di regolazione.

Senza regolazione prevalgono la rabbia cieca, il desiderio cieco o il panico, tutti fenomeni per cui gli individui “perdono la testa”, si lasciano trascinare dalle emozioni e non considerano le conseguenze delle loro azioni.

 

Ma in che modo si realizza la regolazione delle emozioni?

Esistono diversi modi per regolare le emozioni che proviamo, alcuni più, altri meno funzionali: evitando eventi emozionali attesi, stimoli, persone, luoghi che ci hanno spaventato o fatto provare forti emozioni negative in passato; rivalutando situazioni negative in termini più positivi così da alterarne l’impatto emotivo; scegliendo le condizioni in grado di generare le emozioni desiderate ed evitare quelle che potrebbero elicitare emozioni non volute; concentrandosi sull’evento emozionale nel tentativo di “dare un senso”  all’accaduto, a volte in maniera eccessiva (ruminazione); distogliendo l’attenzionesopprimendo l’emozione; controllando lo stato di attivazione fisiologica; inibendo alcune espressioni facciali e simulando altre; rilassandosi; usando dei farmacicondividendo con gli altri l’accaduto.

 

In generale, le strategie di regolazione possono essere differenziate collocandole in punti diversi dell’intero processo emozionale. Possiamo, infatti, distinguere:

1) la regolazione preventiva, cioè focalizzata sull’evento e sulla sua valutazione;

2) la regolazione della risposta emozionale, che riguarda l’agire sulle diverse componenti della risposta (ad esempio imparando a controllare lo stato di attivazione fisiologica in certi contesti, inibendo certi comportamenti, posture, espressioni facciali ecc..);

3) la regolazione a lungo termine, che agisce cioè sulle conseguenze a lungo termine della risposta emozionale.

Tra le strategie di regolazione a lungo termine delle emozioni rientra la condivisione sociale.

Condivisione sociale e supporto emotivo

 

In che cosa consiste la condivisione sociale?

La condivisione sociale consiste nel parlare con altri di una propria esperienza con l’intenzione esplicita o implicita di ricevere aiuto, conforto, comprensione, chiarificazioni e interpretazioni diverse. Ha effetti positivi sulla regolazione delle emozioni disforiche e sulla rielaborazione di un evento negativo purché la condivisione avvenga in un contesto che garantisca un’elevata qualità di social support,  cioè un supporto da parte delle persone con cui avviene lo scambio comunicativo caratterizzato da:

1. disponibilità all’ascolto  2. empatia  3. comprensione

Esprimere i pensieri e le emozioni connessi all’evento negativo ha effetti positivi tra cui attenuare l’impatto destrutturante dell’evento, ridurre l’entità della ruminazione, favorire l’individuazione di strategie di problem solving e i processi di accettazione e di adattamento, ma anche effetti negativi in quanto può sfociare in una sorta di ruminazione condivisa che comporta gli stessi effetti disfunzionali della ruminazione mentale, perché impedisce di prendere le distanze dall’evento e ne prolunga e alimenta gli effetti negativi, riattivando continuamente le emozioni associate attraverso il ricordo.

 

Se la condivisione sociale serve ad avere supporto, perché allora si trasforma in pettegolezzo?

Spesso, la conseguenza della condivisione sociale di un fatto accaduto è il fenomeno della condivisione sociale secondaria: un episodio che provoca uno stato emotivo tale da essere condiviso con altre persone, tenderà a diffondersi rapidamente nel gruppo sociale dell’individuo.

Ciò accade perché ogniqualvolta un individuo è messo al corrente di un importante evento emozionale occorso ad un altro individuo che lo ha condiviso con lui, si manifesta la tendenza a condividere tale esperienza con altre persone: l’esperienza emozionale che induce una persona a parlarne con altri, pone in uno stato emozionale anche gli altri che hanno ascoltato e condiviso l’emozione, con l’effetto che anche loro saranno spinti a condividere quell’esperienza con altri ancora, anche se non l’hanno vissuta direttamente.

 

La condivisione sociale secondaria delle emozioni è, quindi, alla base del pettegolezzo?

Il pettegolezzo è uno scambio di informazioni e giudizi che avviene all’interno di uno gruppo sociale che non ha lo scopo di fornire sostegno alla persona che ha vissuto un determinato evento. Tale condivisione, pertanto, non è utile ai fini della regolazione delle emozioni dell’individuo, ma può, anzi, accentuare le emozioni negative associate all’evento.

All’interno della cerchia sociale ristretta della persona protagonista dell’evento, che sia capace di aiuto, conforto, comprensione, empatia e disponibilità, invece, una rapida e diffusa condivisione permette al gruppo di essere pronto a predisporre strategie di sostegno più rapide ed efficaci.
Ciò che impedisce, quindi, alla condivisione sociale utilizzata come strategia di coping di trasformarsi in pettegolezzo è il gruppo sociale di riferimento e le sue caratteristiche.

 

Dott.ssa Adriana Esposito