Omofobia e stereotipi: una delle credenze più diffuse – NeuroPsi
Omofobia e stereotipi

Omofobia e stereotipi: una delle credenze più diffuse

In occasione del 17 maggio, Giornata Mondiale contro l’ Omofobia, in molti si chiedono: da che deriva l’omofobia? Perché così tante persone ne sono coinvolte? Quali sono le motivazioni e le argomentazioni sostenute dalle persone omofobe?

 

L’ omofobia è un’avversione nei confronti di persone omosessuali che si esprime attraverso sentimenti di ansia, paura, disgusto, disagio, ostilità. Essa è sostenuta ed alimentata da idee, pensieri, credenze ed opinioni irrazionali, da stereotipi e schemi mentali che le persone creano in maniera automatica per comprendere le situazioni sociali. I sistemi cognitivi, infatti, elaborano continuamente un’incredibile quantità di informazioni proveniente dal mondo circostante in maniera rapida ed efficace grazie a forme di pensiero automatiche, che tuttavia qualche volta portano ad intuizioni sbagliate, non razionalmente fondate.

 

Una delle credenze maggiormente diffuse che, spesso, alimenta l’omofobia è relativa al presunto sviluppo sessuale disfunzionale dei figli di coppie omosessuali.

Tale credenza affonda le sue radici nella teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, che sottolinea come l’apprendimento sia mediato dall’osservazione ed imitazione del comportamento delle altre persone: i bambini imparerebbero quali sono i ruoli dei due sessi osservando l’esempio di adulti e coetanei e prestando attenzione agli individui dello stesso sesso; ad esempio, i maschi imparerebbero il ruolo ed il comportamento di un “maschio” osservando il padre.

Secondo la teoria, quindi, i processi di imitazione avrebbero un ruolo fondamentale nell’acquisizione dei ruoli sessuali, perciò bambini che non hanno a disposizione i modelli di ruolo necessari dovrebbero presentare uno sviluppo disturbato.

Tuttavia, nel suo sviluppo ogni bambino ha un ruolo estremamente attivo e non esiste dimostrazione che i bambini siano selettivamente attenti ai modelli del proprio sesso. Inoltre, l’assenza della figura paterna in famiglia non porta ad uno sviluppo sessuale atipico nei maschi, così come l’assenza della figura materna non porta ad disfunzioni nelle femmine, problemi che secondo la teoria dovrebbero verificarsi in quanto verrebbe a mancare la possibilità di imitazione.

Dall’analisi dei diversi ambienti familiari non tradizionali, infatti, emerge che ciò non accade: ragazzi allevati senza padre non sono diversi da quelli allevati con il padre relativamente ai ruoli sessuali, così come i bambini allevati in famiglie omosessuali educati da partner dello stesso sesso non sviluppano ruoli sessuali “non convenzionali”. Stesso dicasi per famiglie in cui più figure dello stesso sesso (madre, zie, nonne) si occupano della crescita bambino.

 

Cosa dicono gli studi in merito?

Da uno studio di Patterson (2005) è emerso che non ci sono prove che suggeriscano che donne o uomini omosessuali siano incapaci di essere genitori o che lo sviluppo psicosociale dei loro bambini sia compromesso rispetto a quello di bambini allevati da genitori eterosessuali. Dalle ricerche esaminate è stato rilevato che lo sviluppo dell’identità di genere prescinde dall’orientamento sessuale dei genitori, così come è emerso che figli adulti di genitori omosessuali sono eterosessuali nel 90% dei casi.

In contrasto alle considerazioni personali che sostengono tale credenza, basata su un tipo di ragionamento irrazionale, esiste quindi una vasta letteratura scientifica internazionale che afferma come l’orientamento sessuale dei genitori non influisce sul benessere dei figli: studi condotti negli ultimi 40 anni supportano chiaramente tale dato.

Sono una minoranza, invece, gli studi che sostengono come l’orientamento sessuale incide negativamente sullo sviluppo dei figli, studi che sono stati, tuttavia, criticati per l’utilizzo di metodologie scientificamente poco valide.

Una rassegna della letteratura internazionale in riferimento all’omogenitorialità è consultabile qui.

 

Dott.ssa Adriana Esposito